L'incontro con l'omeopatia

Durante i suoi studi sui vaccini si imbatté nell'Organon di Samuel Hahnemann, il tedesco fondatore dell'omeopatia. Nel suo lavoro trovò un'affinità col proprio pensiero: entrambi erano dell'opinione che chi dovesse essere curato sarebbe dovuto essere il malato, e non la malattia in sè. A differenza di Bach, però, Hahnemann non curava le malattie con i germi, ma con erbe, piante e muschi e, in quantità infinitesimale, con veleni e metalli.
Bach rimase affascinato dal lavoro dell'omeopata, e cominciò a sintetizzare nuovi vaccini, chiamati nosodi che dovevano essere somministrati per bocca, e grazie ai quali risolse molti casi di malattie croniche.
Non contento, però, Bach divise i batteri responsabili delle malattie croniche in sette gruppi, e cominciò ad analizzare le caratteristiche comuni delle persone che aveva bisogno del medesimo vaccino. Constatò sette tipi psicologici, sette profili umani differenti. Questo lo portò a pensare se ogni malattia non corrispondesse ad un determinato stato d'animo tra i sette che aveva individuato, e, successivamente, se non fosse il contrario: se non fosse lo stato d'animo stesso a provocare la malattia.
Al momento tenne per sé l'idea, ma continuò a lavorarvi, mentre il mondo della medicina stava apprezzando i suoi nuovi vaccini. "I sette nosodi di Bach", così chiamati, cominciarono ad essere molto utilizzati, oltre che in Inghilterra, anche in Germania e in America, non solo dalla medicina omeopatica, ma anche da quella allopatica. In questi anni Bach si trasferì dallo University College all'Ospedale Omeopatico di Londra.

Gli esperimenti con i fiori

Nonostante i suoi vaccini ebbero grande successo (Bach stesso fu soprannominato "il secondo Hahnemann"), Bach non era soddisfatto, poiché in alcuni casi la malattia curata coi suoi vaccini si ripresentava, nel paziente. Nel tentativo di curare anche coloro che non rispondevano positivamente ai suoi 'nosodi', studiò alcune piante che avessero gli stessi effetti benefici dei batteri, e rielaborò i vaccini rimpiazzando i batteri con altrettante piante. Fu così che Bach cominciò, secondo la sua teoria, a "curare" gli stati d'animo dei pazienti, oltre alla malattia.
Nel settembre del 1928 si recò improvvisamente in Galles, dov'era nato e ricominciò a girare la campagna come faceva da bambino, e nelle vicinanze di casa raccolse due fiori: Mimulus (il mimolo giallo) e Impatiens (la balsamina), e vi preparò due nosodi secondo il solito metodo utilizzato per i batteri.
Nel decidere a quali pazienti somministrare questi nuovi "vaccini", Bach si lasciò guidare dalle somiglianze tra la pianta e la persona; il mimolo, un fiore dall'apparenza timida e spaventata, lo somministrò alla persona che soffriva di paura, mentre la balsamina (chiamata anche "Non mi toccare"), un fiore che sembrava scattante e nervoso, che proiettava i suoi semi anche a diversi metri di distanza, venne consigliato agli individui rudi e sbrigativi. Soddisfatto dai risultati che sembrava ottenere, Bach cominciò a curare i suoi pazienti coi due fiori, ai quali ne aveva nel frattempo raggiunto un terzo, Clematis (la vitalba) per i pazienti troppo calmi o rilassati.
Da allora, Bach prese a raccogliere molti fiori, via via corrispondenti ad ogni stato d'animo che gli veniva in mente. Certo, questo tipo di medicina non era nuovo; da sempre gli uomini si sono curati con le erbe. Ma Bach era convinto che i fiori fossero più efficaci, poiché, secondo la sua teorizzazione, contenevano tutta l'energia della pianta a cui appartenevano, e che lavorassero non solo direttamente sulla funzione di un organo o dell'organismo, ma intervenissero a livello più sottile, cambiando lo stato psicologico del paziente, il terreno su cui la malattia si innestava.